Il desiderio e la voce – parte seconda

Salvatore Smedile

Leggi qui la prima parte dell’intervista a Maria Genovese (autrice di Eva… vado un attimo all’inferno… e poi torno, SBC edizioni, Ravenna 2009).

Eva... vado un attimo all'Inferno... ma poi torno. Copertina

Cos’altro non hai detto in Eva? Cosa c’è che vorresti ancora dire? Perché sembra che tu non abbia ancora detto tutto.
Quello che avrei avuto ancora da dire potrebbe essere oggetto di un altro libro. Ci sono molte altre storie, ma completamente diverse: le storie di quei pochi che realmente erano in cerca di amicizie. Storie di solitudini completamente diverse dall’inferno di Eva. Ho notato che chi ha letto il libro si è sentito alla fine un po’ orfano di Eva. Come tradito perché lasciato tronco, come se ci fosse qualcosa rimasta in sospeso. Lo stesso vuoto che Eva ha lasciato nella chat, alle voci che in qualche modo l’avevano amata.

Confermo questo vuoto una volta chiuso il libro e questo mi ha scatenato delle domande inquietanti. Puoi aiutarmi a capire perché il tuo libro provoca questa reazione?
In realtà speravo di riuscire a provocare questa reazione: volevo che il lettore provasse esattamente le stesse emozioni di Eva, che sono riassunte nella sua definizione dello Zero, il tasto che consente a chi è nella chat di chiudere la conversazione e passare ad altro. Quando lo usano i clienti la annientano; quando lo usa Eva li annienta. In ogni modo lascia un vuoto.

È stato intenzionale ideare Eva come un personaggio incompleto che non conclude la sua esistenza alla fine del libro? In altre parole: quanto ne eri consapevole?
Quando ho cominciato a scrivere Eva ho abbozzato un inizio e una fine. E il finale lo avevo immaginato gioioso, con Eva che realizza i suoi desideri e allegramente lascia tutti con un pizzico di affetto. Ma quando ho cominciato a scrivere ancora non conoscevo bene quell’universo che mi stavo preparando a raccontare. Ero ancora presa da quell’ironia che mi aveva trasmesso “la mia cara O.”. Avevo in mente un epilogo salvifico che man mano che mi immergevo in quell’universo cambiava direzione. E il finale ottimistico ha preso la forma di una salvezza intima, assolutamente privata. Ha perso la spinta ottimistica che vedeva per Eva la possibilità di cambiare pagina, per abbracciare una catarsi molto più realistica di cui non dico oltre altrimenti poi non lo legge più nessuno. Se ne ero consapevole? All’inizio no, ma dopo tre anni di lavoro assolutamente sì. Non poteva concludere in modo diverso senza rischiare di cadere nel retorico e banale.

Quando hai scritto il libro hai pensato più ad un pubblico maschile o femminile?
In realtà non ho pensato ad un pubblico preciso. Ho notato quasi con sorpresa una certa solidarietà da parte delle donne, ma ad essere sincera quelle che mi incuriosiscono di più sono le reazioni maschili. E devo ammettere che proprio il pensiero di queste reazioni sono state il faro che mi ha guidata durante tutta la stesura del libro. Ho cercato di calibrare emozioni e descrizioni per evitare di veder bollare Eva come romanzo erotico. Il rischio di vederlo letto proprio dalle persone che descrivo, istigando proprio quei comportamenti che racconto nel libro era sempre alle mie spalle.

Immagino che partecipare in diretta a delle telefonate hard non possa lasciare indifferenti. Come ti sei sentita da un punto di vista psicologico?
Non è facile da spiegare. Quella sensazione di ormoni sulla pelle che non va via neanche dopo ripetute docce è assolutamente reale. Ma nello stesso momento era come essere catapultata in una dimensione a parte. Ho sempre ritenuto più importanti i contenuti che la forma, le parole che l’aspetto (per questo in rete si trovano tanti miei scritti ma quasi nessuna immagine) e mentre parlavo con quelle persone mi sono resa conto di quanto fosse ancora una volta vero. Potevo essere bellissima anche senza esserlo: erano le parole e la voce che mi rendevano bella. E questo mi ha dato per un po’ una strana sensazione di ebbrezza, quasi di potere. In fondo scrivere questo libro mi ha fatto fare pace con il maschile, nei cui confronti ho avuto spesso un forte senso di superiorità: nel ritrovarmi in quella dimensione faccia a faccia con le mie debolezze, ho imparato a riconoscerle e ad accettarle. E accettarmi. E quel senso di superiorità ha finito col non avere più alcun senso.

Che vantaggio ti ha portato scrivere un romanzo piuttosto che una serie di articoli su questo argomento?
Per ora nessuno, se non l’ebbrezza di vedere il mio nome sotto un titolo su una copertina. Mi sto scontrando con una realtà probabilmente ancora più difficile di quella del giornalismo: l’editoria. È una giungla di grandi editori che non ti vedono se sei alla tua prima opera, a meno che non tu non sia stato politico/calciatore/attore/pornostar…
Dall’altra parte ci sono piccoli editori che chiedono un contributo più o meno oneroso alla stampa, promettendo distribuzione e promozione. Ma promozione e distribuzione avvengono a fatica (fatica soprattutto dell’autore che finisce col promuoversi da solo). In alcuni casi le difficoltà sono oggettive. Grandi editori e grande distribuzione schiacciano la piccola editoria e la piccola distribuzione. È anche vero però che spesso neanche provano a rischiare: si limitano alla stampa delle copie che fanno acquistare all’autore poi proseguono solo in base alla richiesta, senza cercare di far arrivare nelle librerie un testo in cui credono. Purtroppo questo porta chiunque a credere di poter scrivere, di avere una dote innata, una storia da raccontare. Tanti si improvvisano scrittori e se trovano qualcuno che li pubblica, anche se a pagamento, si illudono e insistono facendo svalutare lavori validi che finiscono col confondersi nel mare di libri di cui sono pieni gli scaffali delle librerie. Io potrei essere una di questi illusi o essere tra coloro che vengono penalizzati da questa editoria. Per ora non mi è dato saperlo.

Se dovessi scrivere un altro romanzo (o se lo stai scrivendo) che titolo gli daresti al momento?
Il mio secondo romanzo è già pronto. È chiuso in un cassetto in attesa di vedere come andrà con Eva. Se dovessi scoprire di essere uno dei scrittori dell’ultima ora lo terrò per me o al massimo per i miei amici. Si chiama In Terra di Partenope ed è molto diverso da Eva. Anche questo molto intimo, ma in maniera molto diversa. E in qualche modo mi riporta a temi a me cari: ovviamente parlando della Terra di Partenope non posso non parlare di camorra.

Sei stata una delle ispiratrici del portale www.babylonbus.org. Di cosa si tratta?
È un sito nato qualche anno fa per gioco. Un gruppo di amici fuoriuscito da un portale in cui non si sentiva più a casa che ha creato la sua piccola comune. Inizialmente era solo un forum, nato su quei siti free, poi pian piano ci siamo accorti che i topic che pubblicavamo da cui nascevano le discussioni avevano sempre più l’aspetto di articoli. E così è nato il sito in cui abbiamo ricreato il forum ma dando ampio spazio ad una parte più strettamente giornalistica.
In principio pubblicavamo articoli scritti da altri previa loro autorizzazione, poi gradualmente abbiamo cominciato a scrivere noi e sono nate inchieste, interviste, editoriali anche molto letti. Con un pizzico di orgoglio ti dico che ci sono arrivate anche diverse minacce di querela per quello che pubblicavamo. Anche da parte di personaggi piuttosto importanti del mondo della politica e dell’impresa. Forse perché si parla spesso di mafia e di poteri occulti?

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