Il poema dei lunatici di Ermanno Cavazzoni

Michela Boccalini (illustrazione)

Il poema dei lunatici

[…] E come un fringuello che non dà tregua alla femmina, salto su e giù per i fossi, attraverso i campi di rape, inciampando per il buio a ogni momento, e intrappolandomi in mezzo al ginepro.
Così inseguo per la campagna la sua voce che compare e scompare, in mezzo a tutte le difficoltà, passando come un trampoliere dentro al pantano e sguazzando nell’acqua come l’oca selvatica. E alla luce di una luna grandissima ho visto la distesa silenziosa dei campi… Allora mi è uscito l’ululato angoscioso che fa l’allocco dalla cima di un albero, e poi il fischio stridente del barbagianni in caccia. Avevo la testa ormai che era una colonia di uccelli, e avrei voluto arrivare su di lei, sulla mia bella, come un nibbio reale che vede la preda nelle valli boscose stando altissimo in aria, e piomba giù e con un colpo se la prende e la porta sulle montagne.

[…] e così correvo alla cieca senza risparmio, in mezzo a uno sbattere d’ali e di piume, e pensavo: «Mamma mia, com’è strano l’amore.»

(E. Cavazzoni – Il poema dei lunatici)

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