Disinformazia

Giovanni Guizzardi

Copertina del primo numero del fumetto Atomic War. Immagine di pubblico dominio

Con gli anni la memoria si va annebbiando, ma mi sembra di ricordare che la parola disinformazia, mutuata dal russo, stesse un tempo a indicare non solo e non tanto la sistematica manipolazione delle notizie al fine di indirizzare la propria opinione pubblica, ma anche e soprattutto quella degli altri. La guerra fredda fu combattuta anche così. Sebbene Berlusconi ed Emilio Fede da vent’anni fingano di non essersene accorti, ormai essa è finita da un pezzo, tanto che chi ha meno di trent’anni può anche ignorare che c’è stata. Ma c’è stata, ed è durata quasi cinquant’anni.
Fu una guerra difficile, perché combattuta con armi molto particolari. Dal momento che sia gli uni che gli altri erano in possesso di alcune migliaia di testate nucleari e dei vettori in grado di farle piovere sulla testa di chiunque, come è ovvio e ragionevole una guerra vera non poteva scoppiare, perché non ci sarebbero stati né vinti né vincitori, a parte gli scorpioni e le formiche, che sarebbero allegramente sopravvissuti al fallout nucleare. Così si dovettero inventare altri modi per combatterla.
Prima di tutto si poteva farla combattere a qualcun altro, per delega. Così fu in Medio Oriente, in Africa, in Sud America, in Asia, ovunque qualche rogna locale potesse dare adito al fraterno aiuto dell’una e dell’altra superpotenza. Oppure una delle due interveniva direttamente ma l’altra no, come in Vietnam o in Afghanistan. Questa era una faccenda rischiosa e sanguinosa, però: in Vietnam gli Stati Uniti ci lasciarono più di 50.000 morti. Se proprio non era necessario, si preferiva evitare. C’erano altri modi per far danno, e in maniera molto più grave e duratura. Per esempio si poteva boicottare l’economia dell’altro e fu quel che accadde, ma a senso unico. L’Unione Sovietica infatti non era in grado di boicottare proprio nulla, poteva solo subire le devastanti conseguenze delle misure economiche con cui il mondo occidentale aveva steso una cortina non di ferro ma d’acciaio sull’import-export dei paesi dell’Est. Per non parlare del rublo, condannato a essere solo una moneta del Monopoli, assolutamente priva di valore al di fuori del proprio contesto.
Ma forse per questo proprio il mondo comunista dovette inventare un altro modo per nuocere all’occidente, e fu veramente un’invenzione micidiale, che gli altri copiarono da veri maestri.

Mao Zedong vota. Immagine di pubblico dominio

Avevo sedici anni nel 1968. Da un paio d’anni non mi sentivo più un bambino, ma un “giovane”, e condividevo con i miei coetanei tutti i miti del mio tempo: la musica beat, i figli dei fiori, i capelli lunghi, i pantaloni a campana e le cravatte sgargianti. Al liceo Parini di Milano due anni prima il giornalino scolastico “La zanzara” aveva pubblicato un’inchiesta interna sulla condizione della donna e sull’educazione sessuale che aveva portato i redattori, minorenni, in tribunale con l’accusa di oscenità. Furono assolti, ma per me, come per tutti i miei coetanei, tutto quel baccano fu motivo di indignazione. Molti di noi dovevano fare i conti a casa con i propri padri che, armati di forbici, ci inseguivano attorno al tavolo di cucina per tagliarci i capelli affinché non assomigliassimo più a delle donne o, peggio, a dei “pederasti”, come si usava dire in quei tempi oscurantisti. Ne avevamo le palle piene di quell’educazione bigotta e viriloide impostaci dalle nostre famiglie. Ma restavamo all’interno di un conflitto puramente privato e generazionale.
Poi, come d’incanto, nel maggio del ’68 a Parigi gli studenti scesero in piazza inneggiando a Marx, a Lenin e a Mao Tze Tung e a momenti facevano cadere il governo De Gaulle. E subito dopo anche da noi, in Italia, cominciavano le occupazioni delle facoltà universitarie e gli scontri con la polizia. A Roma accadde a Valle Giulia, e fu l’inizio di un incendio che si propagò alle fabbriche e alla società civile nel suo complesso.
Io dovevo essermi perso un passaggio. Non capivo che cazzo c’entrasse la Cina di Mao con il mio desiderio di scopare e di portare i capelli lunghi, per cui ci misi un po’ di tempo ad adeguarmi, ma ero un bravo ragazzo, mi impegnavo, e con un po’ di fatica mi adattai all’ambiente e anch’io cominciai ad agitare il libretto rosso del presidente Mao. L’ho risfogliato di recente e devo dire che raramente ho trovato una tale raccolta di stronzate condite con aria fritta. Ma come dicono Gino e Michele, miliardi di mosche non possono sbagliare: mangiate merda. E così quella merda la mangiai anch’io, e me la feci anche piacere.
L’effetto di questa psicosi di massa sull’economia e sulla società italiane fu sconvolgente: dopo il cosiddetto “autunno caldo” fu varato un sistema retributivo basato sul punto unico di contingenza, che di fatto appiattiva le retribuzioni e disincentivava la propensione al lavoro e alla carriera. Qualche anno dopo fu varata una legge cosiddetta “dell’equo canone” che fissava per legge il prezzo delle locazioni, devastando completamente il mercato degli affitti e rendendo praticamente impossibile trovare un casa. Il costo del lavoro divenne “una variabile indipendente” secondo la definizione che ne diede l’allora segretario generale della CGIL Luciano Lama, con la conseguenza che i costi di produzione italiani salirono alle stelle deprimendo le esportazioni.
E noi “giovani”, gioiosamente, attendevamo l’imminente crollo del sistema capitalistico e il trionfo inevitabile del socialismo, rinunciando così a progettare un serio avvenire in questa società che secondo noi stava per morire. La tragedia è che questa società non stava affatto per morire, ma semplicemente subiva i danni di una malattia che veniva dall’estero e che colpiva soprattutto le giovani generazioni, le più esposte al virus, plasmandone le menti in modo che poi, per decenni, l’Italia sarebbe stata piena di illusi che, sventolando bandiere rosse e perdendo sistematicamente le elezioni, aspettavano un sol dell’avvenir che non sarebbe mai sorto.
E intanto il paese andava a rotoli, per la gioia dei suoi nemici che invece il sol dell’avvenir erano convinti di vederlo ogni mattina.

Aldo Moro

Oggi, a tanti anni di distanza, non ho molti dubbi che dietro tutto ciò ci sia stata la regia accorta dei servizi segreti dei paesi dell’Est. E quando, proprio allora, cominciarono a scoppiare bombe nelle banche, sulle piazze e sui treni, ho pochi dubbi che dietro tutto ciò ci fosse la regia malaccorta dei nostri servizi segreti. E quando poi alcuni giovanotti un po’ più esaltati degli altri cominciarono a sparare alle gambe dei “nemici del popolo”, non ho dubbio alcuno che dietro tutto ciò ci fosse ancora la regia dei servizi segreti dei paesi dell’Est. E quando poi dopo molti anni e molti morti, fra cui Guido Rossa e Aldo Moro, alla fine le Brigate Rosse furono distrutte, nessuno ha alcun dubbio che furono i nostri servizi segreti a farlo, grazie agli infiltrati come Patrizio Peci. Finiva così una lunga e dolorosa pagina della guerra fredda, che aveva sconvolto un paese e rovinato la vita a un’intera generazione. La mia. Restavano le macerie di una coscienza collettiva lacerata e divisa.

Quando ho saputo che avevano ammazzato Bin Laden non mi sono stupito. Mi stupisce che ci abbiano messo tanto tempo. D’altra parte, non è difficile immaginare cosa si siano detti il 12 settembre 2001 i vertici dell’amministrazione degli Stati Uniti. Chi ha architettato e finanziato tutto questo? Bin Laden. Perché? Perché è un fanatico fondamentalista islamico. E quindi va eliminato, lui e tutti quelli come lui. Dove vengono addestrati i terroristi? In Afghanistan. E quindi lì ci mandiamo l’esercito e sbaracchiamo tutto. Quali sono gli stati canaglia che allevano fanatici e terroristi? Iraq, Iran, Siria, Libia. Bene, con Saddam Hussein abbiamo un conto aperto, e dopo l’Afghanistan per prima cosa ci occupiamo di lui. E come lo giustifichiamo? Bah, con le armi di distruzione di massa, con la difesa della democrazia, chi se ne frega. E se non ci credono lasciamo credere che sia per il petrolio, che tanto ci sono un mucchio di fessi che ancora oggi sono convinti che ogni volta che scoppia una guerra sia solo per quello. Il problema vero però è che non possiamo fare guerra a tutti i paesi fondamentalisti, sono troppi. E poi così creiamo solo dei martiri e non sradichiamo il fondamentalismo, ma lo alimentiamo. No, è molto meglio la disinformazia. Basta infiltrare gente che cominci a lavorare sulle coscienze dei giovani, creando un movimento di opinione ostile ai regimi al potere, e avere un po’ di pazienza. Tempo dieci anni, in tutti i paesi islamici che in qualche modo sono collegati al terrorismo quei regimi obbiettivamente indecenti salteranno in aria come tappi di champagne.
Detto fatto.

2 pensieri su “Disinformazia

  1. Titolo: Lettera ad un amico
    max: 15 righe

    Caro amico

    … la tua mi sembra + una ricostruzione sfascista della situazione – una ricostruzione veramente storica. Ad esempio io cominciai a fare casa.e.l.ino nel 1966 con la morte dello studente Guido Rossi – mi sembra si chiamasse così – avvenuta a Roma all’Università La Sapienza. Tra l’altro come sempre, a causa dei Servizi che in Italia vengono chiamati “segreti” perchè si può attribuire loro qualsiasi carognata e che nei paesi civili di matrice anglo-sassone si chiama invece “Intelligence”, non si è mai chiaramente saputo come sia morto. Nel nome – come diceva il mio caro “nonno” – è la realtà delle cose. Avrei molto altro da dirti ma, come direbbe il nostro Beneamato Presidente, Silvio Berlusconi, mi taccio.

    f.to un fankazzista

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