Dragut

Davide Picatto

Per anni, a mia insaputa, sono stato inseguito da un’ombra che mi ha accompagnato per tutto il Mediterraneo. Sempre presente, non si è mai mostrata. Invisibile, si accontentava della mia semplice permanenza su qualche isola, su lembi di costa, mentre in altre occasioni mi ha costretto ad alzare la testa a guardare ruderi di torri arroccate su promontori o allargare lo sguardo ad abbracciare poderose fortificazioni, ma sempre impalpabile, defilata. Mi ha seguito di isola in isola e da costa a costa finché, lontano dai suoi domini, non l’ho scoperta a Torino, in un libro.
Nata nel 1485 presso Bodrum, sulla costa egea della Turchia, la mia ombra ha ovviamente un nome. Anzi, ne ha diversi: noto in patria come Turgut Reis, in occidente è più famoso come Dragut, ma è anche chiamato Torgut, Turhud, Dargut, Darghouth e via discorrendo.
Di famiglia povera, contadina, all’età di dodici anni fu notato da un comandante ottomano per la sua abilità nel maneggiare lance ed arco. Ottenuto il permesso della famiglia, Dragut divenne un suo apprendista e fu istruito nell’arte dell’artiglieria entrando a far parte dell’esercito turco. Cannoniere durante la campagna d’Egitto del 1517, alla morte del mentore raggiunse Alessandria e prese la via del mare, nonché quella della pirateria. Grazie alla sua abilità di artigliere, riuscì a fare carriera affondando diverse imbarcazioni nemiche fino ad entrare in possesso di alcune galee che impiegò per conto dell’Impero Ottomano contro le imbarcazioni cristiane, soprattutto quelle della Serenissima che incrociavano nel Mediterraneo Orientale.
Nel 1520 entrò nelle grazie di Hızır Hayreddin Paşa, meglio noto come Barbarossa, corsaro di origini cristiane e beylerbey (governatore) di Algeri per conto del sultano Selim I, spostando così il suo raggio d’azione nel Mediterraneo Centrale ed Occidentale.
La sua carriera sarà folgorante. Terrore delle coste cristiane, non mancava estate in cui Dragut, al comando di varie imbarcazioni turche e berbere, si presentasse in occidente pronto al saccheggio. Le coste del Tirreno, la Liguria, le Baleari, l’Andalusia, i possedimenti spagnoli in Africa, la Sicilia, Malta, lo Ionio, il basso Adriatico e le basi Genovesi e Veneziane nell’Egeo impararono presto il suo nome e vissero nel suo incubo. Chiamato dai cristiani “Spada vendicatrice dell’Islam”, verrà fatto prigioniero dalla Spagna e incatenato ad un remo della galea di Andrea Doria fino a quando, nel 1544, verrà venduto come schiavo ad un ricco mercante di Genova da cui, quello stesso anno, verrà riscattato da Barbarossa. Morto costui, Dragut, nel 1546, mentre i nemici lo consideravano ormai innocuo, prese il comando della flotta corsara, nel 1548 fu nominato da Solimano I viceré di Algeri, nel 1551, dopo aver conquistato Tripoli, ne divenne governatore per poi essere, a partire dal 1553, beylerbey di tutto il Mediterraneo continuando, fino alla morte, a combattere per il predominio sul mare.
La prima volta, Dragut mi incontrò che avevo tredici anni, sull’Isola d’Elba, quando l’età mi impedì di sapere che lui l’aveva saccheggiata nel 1553 e che, due anni dopo, ne era stato respinto con gravi perdite. Neppure a Ventotene, anni diciassette, mi accorsi di lui, e forse non era mai nemmeno sbarcato sull’isola. Ma deve averla sfiorata in quanto, nel 1552, aveva conquistato la vicina Ponza usandola come base per andare a bombardare le coste dello Stato Pontificio. Comunque sia, non fu un vero incontro. E non fu vero neppure quello che mi capitò durante il viaggio di ritorno quando, addormentato sul treno fermo alla stazione di La Spezia, fui derubato dello zainetto. In mutande tentai di trovare i moderni pirati poi, per non rimanere bloccato in Liguria, dovetti desistere. Non mi ero accorto del corsaro, nonostante il furto ed il fatto che Dragut, nel golfo di La Spezia, avesse gettato ancora nel 1545 per permettere il riscatto dei prigionieri che aveva ottenuto attaccando la Riviera di Levante. I miei pirati non avrebbero mai avuto neanche mille lire per quello che c’era nello zainetto: una maschera, un libro, un quaderno pasticciato ed un asciugamano da spiaggia.
Le cose, lentamente, cominciarono a cambiare nel nuovo millennio, e man mano cominciai a rendermi conto della presenza di qualcosa nell’aria salmastra. A Bergeggi, dal terrazzo della casa di un amico, una sera di prima estate mi sollazzavo con un bicchiere di vino osservando l’isolotto di fronte, ospite dal Medioevo di un monastero e di una torre di avvistamento. Tante, troppe torri di guardia cingevano l’Europa mediterranea. La paura veniva dal mare. Ma all’epoca ancora non potevo pormi delle domande sui pensieri della gente di quelle contrade quando nel 1556 furono avvistate le galee di Dragut. Forse in molti saranno fuggiti, giusto per non finire sciabolati, incatenati ai remi o venduti come schiavi da qualche parte in riva a quel mare tanto piccolo.
Ovunque in Liguria trovai tracce della paura del turco. E ovunque ero seguito da quell’ombra che ancora non si era presentata. Di solito gli andava bene, altre volte era respinto, come a Manarola, nelle Cinque Terre, dove gli abitanti, uniti a quelli di Riomaggiore, gli si opposero dopo il sacco di Monterosso e Corniglia. Ma la Liguria lo coprirà anche d’onta: fatto prigioniero, fu venduto a Genova come schiavo da Andrea Doria che, per umiliarlo e spezzargli la schiena, lo aveva tenuto quattro anni ai remi della sua ammiraglia. Nel 1544, a 59 anni, dopo mesi di lavori forzati, si era ormai sicuri della sua sconfitta fisica e mentale, ma i ricchi Lomellini, dopo averlo acquistato, accettarono il riscatto loro offerto da Barbarossa e, grazie al vecchio amico, Dragut tornò in mare, più agguerrito di prima.
Quante volte lo sfiorai, ignaro della sua esistenza? In Provenza, forte dell’alleanza fra Impero Turco e Francia, cercava riparo, viveri e ristoro. Presso Modica, a decine i suoi turchi caddero prigionieri del presidio spagnolo nel 1553. Molti villaggi delle Isole Eolie furono devastati dalla sua furia nel 1558 e, tre anni dopo, fra le acque di Stromboli e quelle di Milazzo tese un’imboscata a sette galee di Sicilia catturando il vescovo di Catania Nicola Maria Caracciolo, in viaggio verso Napoli; ci vollero 3000 scudi per riscattarlo, più la promessa di aumentare il gruzzolo in caso di sua elezione al papato. Quello stesso anno fu nel golfo di Napoli a bloccare l’accesso al porto mentre, nel 1563, marciò nelle terre di Granada, deportandone centinaia di abitanti.
Ma la volta che gli andai più vicino fu nell’arcipelago maltese, la scorsa estate. Isole chiave nello scacchiere del Mediterraneo, dominavano, allora come oggi, il passaggio dalle acque occidentali a quelle orientali, dall’Africa berbera all’Italia spagnola, dall’Impero Ottomano all’Europa. Inoltre, grazie ai loro porti sicuri, potevano essere un’ottima base per colpire l’Impero Spagnolo e per rifornire le galee impegnate nella guerra di corsa. Avevano però due difetti: mentre la scarsa fertilità del suolo era un problema da poco conto, la presenza dei Cavalieri dell’Ordine di San Giovanni rischiava di essere insormontabile.
Nemici giurati di quelli che loro consideravano infedeli, i Cavalieri rappresentavano alcune delle famiglie più nobili e cristiane di tutta l’Europa. Fanatici ed invasati monaci laici, pronti a morire combattendo in nome del loro dio, in origine erano noti soprattutto come Ospitalieri e si occupavano della cura del corpo dei pellegrini in Terrasanta. Col tempo accompagnarono a questa vocazione anche la spada, proteggendo dai Maomettani i regni cristiani d’oriente. Grandi costruttori di fortezze, furono ributtati a mare dai turchi ed occuparono l’isola di Rodi. Nuovamente cacciati, nel 1530 fu loro affidata da Carlo V di Spagna la difesa di Malta e di Tripoli. Persa quest’ultima per mano di Dragut, trascorsero anni nell’attesa di uno sbarco in massa sull’isola baluardo. Ma il corsaro si limitava a scorazzare su Gozo, isolotto scarsamente difeso, di ritorno dalle sue imprese, in cerca di acqua, viveri e schiavi. Nel 1551 venne fatto un tentativo contro Mdina, l’antica capitale di Malta, ma ricacciati dai Cavalieri e viste le opere difensive edificate a nord, presso Grand Harbour, i turchi ripiegarono su Gozo dove Dragut prese il castello facendo quattromila prigionieri fra la popolazione.
Il terrore del Mediterraneo vi tornerà in altre occasioni, finché nel 1565 sbarcò i suoi duemila corsari, detti matasiete per avere giurato di uccidere almeno sei nemici a testa (in arabo “settah” vuol dire sei). Pose il campo di fronte alla moderna La Valletta, su un promontorio che ancora oggi porta il suo nome, e, unitosi ai quarantamila dell’esercito ottomano giunti da un paio di settimane, assediò il Forte Sant’Elmo, piccola ed inutile fortificazione dell’Ordine che, come Dragut ben sapeva, era totalmente inutile attaccare. Ma arrivò che i cannoni erano già in azione da giorni, ed ormai era tardi per seguire la logica e conquistare il resto dell’isola per poi prenderli per fame, quindi aggiunse le sue bocche da fuoco a quelle già presenti, tagliò le vie di rifornimento nemiche e continuò a sbriciolare gli spalti avversari. Il 17 di giugno, una cannonata sparata dal forte Sant’Angelo (ma c’è chi dice che fu sparata da un suo pezzo d’artiglieria) cadde sul monte Sciberras vicino a lui. Ferito alla testa da una scheggia, secondo alcuni morì subito, secondo altri agonizzò per sei giorni ancora, fino alla notizia della caduta di Sant’Elmo. Comunque sia andata, non seppe mai che i Cavalieri resistettero nel villaggio di Birgu fino all’ultimo e che a settembre i turchi, decimati, si dovettero ritirare. Naturalmente fu anche ignaro della sconfitta di Lepanto del 1571, la prima grande sconfitta della flotta ottomana, fino ad allora invincibile, e del fatto che Malta, ancora più fortificata, cadde soltanto per mano di Napoleone, duecentocinquanta anni più tardi.
Oggi mi fa un certo effetto pensare che ci siamo rincorsi per tutto il Mediterraneo, e che tanti sono ancora i posti in cui ci sarà la sua ombra ad aspettarmi. Solo che da ora in poi non capiterà più come a La Valletta, dove calpestai senza accorgermene il suolo su cui Dragut, a ottant’anni, combatté per l’ultima volta: farò attenzione, mi guarderò in giro, alle spalle, darò un’occhiata in alto, sui promontori dominanti i porti e le coste, e soprattutto in mare. Ti troverò, e comincerò da Istanbul.

7 pensieri su “Dragut

  1. simula angela ha detto:

    inseguo Dragut da circa un anno, egli è l’artefice della distruzione del villaggio di Olmedo nel 1540. la distruzione dovrebbe essere avvenuta durante la sua breve permanenza all’isola dell’Asinara, da cui poteva fare incursioni indisturbato nella vicina pianura della Nurra, attraverso il porto di Porto Torres, poco difeso in quel periodo…
    avere più notizie in merito all’avvenimento, mi aiuterebbe nella mia ricerca,grazie per l’attenzione!
    il pezzo è sicuramente ben romanzato, il protagonista si presta al genere, ma un pò di suspance in più non guasterebbe!

  2. nulladiessinelinea ha detto:

    Cara Angela, purtroppo su Olmedo non ti posso aiutare. Però la tua ipotesi sull’Asinara mi sembra probabile. Dragut vi arrivò a fine maggio, per poi lasciare l’isola poco dopo alla volta della Corsica e, in seguito, di Capraia. Pochi giorni dopo fu catturato. Come puoi ben vedere, non posso aggiungere nulla di nuovo a quanto tu saprai già.
    Hai ragione sulla suspance… ma alla fine un po’ è presente: ti anticipo che il protagonista non è ancora andato ad Istanbul. Ancora…

    Davide

  3. angela simula ha detto:

    caro Davide, la mia ricerca continua, ma di Dragut nessuna traccia, eppure ne sento l’odore della sua presenza, ma è solo una sensazione che percepisco solamente io…qualcuno ha scritto della distruzione ad opera dei pirati del luogo di Olmedo, ma non ha menzionat la fonte da cui ha attinto, ed eccomi qua a cercare un fantasma…vorrei riempire gli spazi vuoti nella mia ricostruzione storica con quelle sensazioni quasi reali che percepisco nella lettura dei documenti, quando vai oltre ciò che è scritto e riesci a vedere quello che è sucesso ma non menzionato, ma non mi è possibile… perchè lo storico non può interpretare, deve essere un distaccato e freddo analizzatore dei fatti….un augurio di buon lavoro… sono in attesa della continuazione della tua storia…a presto

  4. nulladiessinelinea ha detto:

    È vero, la Storia esige paletti ben fissi nel terreno. Ma una volta che impari a conoscere ed a rispettare il percorso puoi sempre saltare al di là della staccionata a goderti gli spazi liberi: fallo, anche solo per diletto tuo. Sono sicuro che il risultato ti darà grande soddisfazione.

    Comunque mi hai beccato in un momento topico: stanotte parto per la Corsica, e sento già puzza del Nostro. Lo sapevi che gran parte degli equipaggi delle navi pirata berbere era di origine corsa? Ex prigionieri convertitisi all’islam e imbarcatisi per cercare fortuna, bendisposti a saccheggiare la loro terra.

  5. Sicuro che Dragut rimase quattro anni incatenato ai remi dopo la cattura di Giannettino Doria, nel giugno del 1540? Mi risultano sue scorribande già l’anno dopo.
    Qualcuno sa, poi, perché si dette la briga di scalare Montecristo e uccidere tutti i frati che dimoravano in alto nell’eremo?

  6. Caro Roberto,

    ne sono (abbastanza) sicuro. È passato parecchio tempo da quando ho scritto il pezzo, per cui non ricordo più la mia fonte, ma cercando su Wikipedia (http://en.wikipedia.org/wiki/Turgut_Reis#Captivity_and_freedom) i quattro anni sono confermati. Certo, Wikipedia NON è una fonte attendibile.

    Se non ricordo male la notizia l’ho letta su un volume non in commercio preso in prestito alla Nazionale di Torino: si trattava di uno studio su Malta ed i suoi Cavalieri realizzato da una storica francese. Da qualche parte avrò sicuramente gli appunti bibliografici, ma trovarli sarà un’impresa!

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